CÀ BIANCHE e i suoi vini di Valtellina
Storia d'amore, tra l'uomo e il suo vino, incisa in etichetta
by Valeria Mulas
Cà Bianche è la cantina di Davide e Stefania, e i loro vini di Valtellina sono un inno alla condivisione e alla vita.
Siamo tornati a trovarli, dopo circa un anno, per assaggiare le nuove annate e ora siamo pronti per raccontarvi la storia d’amore tra Davide e le sue vigne. Una storia che è una vera e propria incisione rupestre nelle etichette dei suoi 4 vini.
Il cielo è bianco e, già all’arrivo in cantina, i primi fiocchi si stanno depositando sulle vigne. Siamo a circa 750 metri sopra il livello del mare, appena sopra la bella città di Tirano, in quella Valtellina, stretta e lunga, dove 2500 chilometri di muretti a secco (Patrimonio Immateriale dell’Umanità dal 2018) segnano il confine tra la fatica e la bellezza. Qui le vigne sono abbarbicate alla montagna e il solo pensare all’operazioni umane di cura, prima, e di raccolta dell’uva, dopo, fa venire i brividi lungo la schiena. Uomini stambecchi e vini eroici nascono nella parte assolata della valle, mentre la parte in ombra è patria di formaggi e derivati del latte. Il microclima di sole, umidità, escursioni termiche e terreni (sabbiosi-granitici) permeabili, è l’habitat ottimale per il clone di Nebbiolo, chiamato localmente Chiavennasca, a tutti gli effetti considerato autoctono della zona.
Abbiamo imparato a conoscere il Nebbiolo, vitigno tanto nobile quanto difficile, sia per le sue caratteristiche peculiari (vigoria vegetativa, per esempio, con un bisogno di grande selezione per raggiungere la qualità desiderata) sia per le necessità climatiche e ambientali; ora stiamo scoprendo pian piano le varie differenze di cloni (vedi anche la nostra gita alla scoperta del Nebbiolo delle colline Novaresi).
Cà Bianche: tra tradizione e qualità
Davide conosce le vigne da bambino insieme al nonno, che coltivava prima per sé e poi, con l’acquisto di altri terreni e l’aumento produttivo, per le cantine del paese. Nel 2005 erede dei due ettari di terreni coltivati a uva e di tre ettari di meleti, Davide decide di dedicarsi alla terra e nel 2007 fonda Cà Bianche, intorno alla vecchia cantina di famiglia. Dal 2010 l’acquisto di nuovi terreni e lo sviluppo di tecniche di produzione e di cantina via via più mature, fanno aumentare la produzione fino alle 9.000 bottiglie odierne, con un aumento della qualità, che oggi inizia anche ad avere i primi riconoscimenti.
L’attenzione al territorio si capisce già osservando le etichette, che richiamano alla mente le incisioni rupestri, che proprio qui in Valtellina sono facilmente visibili. Davide ci spiega che Cà Bianche stesso è un omaggio al territorio, essendo il nome della zona mappale in cui sorgono i suoi vigneti. Tre vigneti, per l’esattezza, come tre (+1, che è una riserva) sono i diversi vini che la cantina produce. Negli anni, infatti, una delle scelte che hanno deciso di seguire è stata proprio la diversificazione dei vini, attraverso la vinificazione separata delle uve dai differenti vigneti.
Partiamo dal Rosso di Valtellina, il vino base della produzione, fatto con le uve de La Malpaga, il vigneto più basso (a 600 m s.l.m.) a e a forma rettangolare (da qui l’etichetta), da cui prende il nome. Due settimane di macerazione sulle bucce, poi un paio di mesi in acciaio, quindi affinamento di due anni, di cui uno di anfore di terracotta e uno in bottiglia.
Degustiamo oggi l’annata 2019, che conferma il colore rubino brillante della 2018, assaggiata a febbraio 2021, e i profumi di frutta rossa croccante, lampone e ciliegia, soprattutto. La bella consistenza, sorretta dai 14% di grado alcolico, esplode in bocca in una grande freschezza, con una buona persistenza di gusto, dove ritroviamo sia il frutto, che il fiore (rosa e accenni di violetta). Dando tempo alla degustazione al naso salgono aromi di caffè, tostatura e liquirizia. Un vino che definire da tutti i giorni è certamente riduttivo e che, invece, introduce bene la filosofia di Cà Bianche: tanto lavoro, attenzione e rispetto per il Nebbiolo, il principe dei vitigni.
Il secondo vino in degustazione è La Tena Valtellina Superiore, dalla vigna più antica (60 anni di età) a 650 m s.l.m., con rese molto basse (60 quintali per ettaro) e 5000 bottiglie prodotte circa. Qui l’etichetta rappresenta un bicchiere appoggiato sopra l’archetto della cantina, che è anche il logo dell’azienda.
Il colore vira al granato, in piena rappresentanza del vitigno, e la frutta si fa matura, a tratti sotto spirito, con note di balsamicità che iniziano a spingere su uno sfondo di sottobosco e tostatura. Con il tempo, nel bicchiere emergerà anche l’arancia rossa. Fermentazione sempre spontanea e macerazione sulle bucce tra i 50 e i 60 giorni; 2 mesi in acciaio, poi affinamento di 2 anni in botti di Rovere francese e di Slavonia, ancora un passaggio in acciaio per qualche mese e infine almeno 1 anno in bottiglia, prima di arrivare a tavola. Tannino ammorbidito dal passaggio in legno e lunga persistenza, per un vino che richiama selvaggina e carni rosse di accompagnamento.
La Tena esiste anche in versione Riserva Valtellina Superiore, con un ulteriore affinamento di almeno un anno. La 2015, benché fosse un’annata con uve perfette, non ci aveva convinti, ma questa del 2016 raggiunge il giusto equilibrio tra profumi terziari e primari, lasciando la bocca fresca e asciutta. Note di cuoio, ferro, pepe si mischiano alla frutta matura, prugna e amarena, al geranio e al chiodo di garofano, con una punta di balsamicità che ritorna in bocca. Un vino da lasciare ancora in cantina per scoprirne l’evoluzione nel tempo. E l’etichetta? Si trasforma in bianco con il tratto del bicchiere sopra l’archetto di cantina, in nero: è l’etichetta diversa e uguale, in cui il segno si fa anche uomo e ricorda gli antichi graffiti, in modo ancora più netto, grazie al cambio colore. Pochissime bottiglie in vendita solo in azienda e in pochi ristoranti della zona.
L’ultimo vino è il passaggio del tempo stesso e il succo del sole di Valtellina, che qui scalda e illumina per buona parte dell’anno (anche se noi non l’abbiamo ancora visto, ma questa è un’altra storia che prima o poi vi racconteremo!). Si tratta del Faset Sforzato di Valtellina, un vino che è anche il simbolo di questa terra e che Davide fa nascere da un piccolo appezzamento di terra (Faset: fazzoletto) tra i muretti a secco, a 700 m s.l.m.
Assaggiamo oggi la 2018, mentre abbiamo ancora il ricordo di un’eccellente ed estremamente balsamica 2017 (purtroppo esaurita). Quest’annata rivela più marmellata di frutti rossi, insieme all’uva passa e alla viola. In bocca però è di grande freschezza, ancora giovane, con una bella acidità e tannino ben integrato.
Raccolta a mano in cassette di circa 4 kg e cernita delle uve più sane, al momento del raggiungimento di 18° zuccherini, per lasciarle in appassimento per circa due mesi. Intorno a dicembre, si effettua pigiatura e fermentazione alcolica in acciaio. Anche questo vino resta in macerazione sulle bucce per un tempo dai 40 ai 60 giorni, per poi riposare in barriques di rovere (50% usate e 50% nuove) per 24 mesi e almeno un ultimo anno in bottiglia. Il risultato sono circa 2000 bottiglie che racchiudono il tempo del godimento, come ci suggerisce l’etichetta che, sempre giocando sugli archetti della cantina/bicchieri stilizzati, disegna una clessidra.
Quando Davide racconta è facile farsi trasportare dall’entusiasmo che sprigionano i suoi occhi chiari. Insieme a Stefania, si dedicano a fare crescere in maniera consapevole e attenta, il business del vino. Sono produttori FIVI: lavorano con basse rese, grande rispetto del territorio e della natura (regime biologico non certificato), fermentazioni spontanee e mantenendo tutti i processi produttivi in casa; compresa la comunicazione e il marketing, cui Stefania si dedica cercando di creare una rete in cui consumatore e produttore possano intrecciare opinioni, consigli e condivisione di esperienze. Tra le ultime iniziative ricordiamo con affetto il “dona un nome alle barbatelle” che ha coinvolto moltissimi amanti del vino, inclusa Vinity Fair.
In un’epoca di velocità, questa dedizione allo scambio ci commuove e il risultato è una comunità, in grado anche di far crescere la nomea dei vini di Cà Bianche.
Consigli per un week end in Valtellina
Dove dormire: Casa Moiser a Tresenda
Dove comprare un’ottima bresaola: Macelleria Storica Poretti a Tirano
Dove scoprire e comprare il vero Bitto: Formaggio Storico Ribelle
Dove mangiare i veri Pizzoccheri approvati dall’ Accademia del Pizzocchero di Teglio:
Ristorante Al Castello
Via Carlo Besta, 10
23036 Teglio
oppure in uno dei Ristoranti in elenco su sito dell’Accademia.
Valeria Mulas
Sommelier e degustatrice AIS. Assaggiatrice ONAF. Ha conseguito l'executive master in cultura e management del vino a Pollenzo, presso Usisg.
Comunicatrice empatica.
Appassionata di vino, cibo, arte e bellezza.
A tratti pittrice, scrittrice di troppe lettere.