Santuvario e la sinfonia di Boca

by Roberta Satta e Valeria Mulas

«Andiamo a scoprire una cantina di Boca? Ti propongo Santuvario» – «Perché no? Andiamo!»

Inizia così la nostra avventura alla scoperta di un piccolo gioiello della viticoltura dell’Alto Piemonte. Santuvario è una cantina e una famiglia che ci hanno insegnato la bellezza della poesia, la forza dello stare insieme e la caparbietà di reinventarsi anche quando tutto sembra perduto.

Santuvario
Santuvario - Paola e Ivano

Ivano riparava strumenti musicali.

Ma la vita, in modo un po’ cruento, lo ha portato a comporre sinfonie diverse; a ricamare note altrettanto melodiche e accordi armoniosi, sullo spartito dell’eleganza.

Difficile che a dire questo sia lui, perché dopo un’ischemia nel 2012 Ivano resta senza parole, letteralmente bloccato per buona parte del corpo per molto tempo e tutto cambia. La vita deve essere ripensata da capo. Gli strumenti musicali messi da parte. Tutto da reinventare e la vigna è lì: sussurra melodie e soprattutto sussurra un’idea nuova di vita. Paola diventa il suo “braccio armato”, Ivano si fa sguardo e si inventa “garagista”. Inizia così la storia di Santuvario, una microscopica realtà che suona come un usignolo dopo la tempesta.

A Borgomanero Paola e Ivano ci accolgono in una giornata fredda e uggiosa nel primo giorno dopo il solstizio di primavera. Il camino è acceso; Ellen, una delle due gatte nere Kessler, sonnecchia sul tavolo. Ma prima di sederci per la degustazione, facciamo un salto in cantina. È proprio un salto laterale, perché la cantina è un piccolo locale accanto alla casa, con cui condivide il muro: un rettangolo con due botti grandi, qualche barrique, una foto in bianco e nero dei vigneti intorno al Santuario del SS. Crocifisso di Boca e le bottiglie, le creature nate dalla rinascita. Siamo letteralmente chiuse in un abbraccio: Ivano e Paola iniziano il racconto.

«Questi vini sono nati quando non potevo parlare, leggere, scrivere bene… spiegare».

Però le etichette parlano al posto suo: anzi, lo fanno se cerchi sul retro, come da prassi consolidata dell’Alto Piemonte, dove la meraviglia si svela sul lato nascosto.

Il fronte invece “dice” poco. Mostra appena l’inizio che fu e nasconde quasi tutti i livelli del vino, perché «se si va a vedere quanto ne è rimasto è un male», come ci ricorda Ivano.

E così devono fare le etichette di questi vini: tutù severi delle quattro ballerine dalle scarpe di vetro. Sono immagini rubate tra i ricordi, close up di foto che rappresentano i motivi che fanno danzare i piedi di questa coppia sulle uve pigiate.

«Questi vini sono nati quando non potevo parlare, leggere, scrivere bene... spiegare»
Santuvario Ivano
Ivano
Vignaiolo

Santuvario: i vini

Santuvario i vini

C’è prima di tutto Santuvario, con la foto dell’appezzamento di vigna di famiglia proprio sotto il Santuario: siamo a Boca in quel pezzo di terra dell’Alto Piemonte ricco di porfido friabile, di color rosa acceso, che si mischia a basalti e sabbie. 

Proprio guardando questa foto Ivano ha deciso che quella seminfermità, doveva in qualche modo “dare succo”. Erano i terreni che la famiglia storicamente usava per l’autoconsumo e che ora potevano diventare almeno un escamotage per riattivarsi. Quel primo vino diventa la festa, il brindisi tra amici; poi arriva alla bocca di Christoph Künzli – lo svizzero vignaiolo che con Le Piane per primo ha creduto e dato slancio a Boca – e il gioco si trasforma in scommessa: c’è la spinta, l’amicizia e i consigli per procedere su una strada produttiva di respiro più ampio. Santuvario è un vino identitario: simboleggia questo tratto di cammino e rappresenta Boca e la storia di queste terre, con il suo uvaggio completo di sua maestà il nebbiolo (50%-60%), di croatina, di vespolina, di uva rara, di dolcetto e di barbera, che qui sono sempre state compagne fedeli già in vigna. Restano insieme, tutte queste uve, dalla terra alla fermentazione, alla macerazione di 30 giorni. Fattosi vino riposa un anno in botte grande di rovere e almeno un altro in bottiglia. L’annata 2020 che degustiamo è speziata e fumé, mentolata e gourmant; ha un tannino dolce e diffuso con una piccola nota ferrosa di grande fascino.

Sul cartello stradale che indica la grande chiesa un writer ha apposto la sua firma con il colore rosso: un affronto, una sfida profana o semplicemente il disordine che prende vita. Quest’immagine è diventata l’etichetta dello Lozio: «il vino dell’ozio o dello zio, in entrambi casi il padre dei vizi». Le parole che sono tornate piano piano alla bocca di Ivano, sono dirette e secche. Hanno perso forse la voglia di ciondolare e hanno preso un buffo accento, quasi straniero. Ivano è, in fondo, come un naufrago che torna in patria dopo tanto girare: la sua lingua madre si è un po’ persa e un po’ si è arricchita di altro. Quando ha creato Lozio lo ha fatto, forse, pensando ai consigli di Christoph oppure alla voglia ambiziosa di fare un nobile vino, un po’ folle, di certo libero come lo sono, nell’immaginario dei nipoti, gli zii. Prodotto solo nelle annate buone è un nebbiolo all’85% con quel saldo di vespolina che gli dona un pizzico di follia speziata. Affina 3 anni in botti grandi e uno in bottiglia. Il risultato? Per la 2018 è una leggiadria puntinata di tannino e ferrosità, che profuma di mentolo, frutta scura, viola e rosa.

Santuvario Gino

Infine, tra i rossi, è nata Lavigna: un vino giovane e fresco, un omaggio alla croatina in purezza allevata con la maggiorina, la storica tecnica di coltivazione dell’Alto Piemonte. Pulito ed erbaceo questo vino è un’esplosione di frutta a bacca rossa acidula che si mischia con la croccantezza dell’amarena.

Manca all’appello Gino. Il bianco in terra di rossi. Il bianco che «voleva essere un duro». Viene da citare Lucio Corsi per questo vino che è una spremuta di erbaluce macerato lungamente, vinificato in acciaio e affinato un anno in bottiglia. 

Voleva essere un duro, ma la sua veste è rimasta pulita e garbata. Certo ha preso un corpo glicerico, un tannino ficcante e un finale amaricante. Ma non ha perso né la freschezza, né i profumi – fiori di acacia e mela cotogna – della sua natura di bianco. 

La sua etichetta? Un compito sul quaderno di scuola del papà Luigi sul verbo bere in francese: un omaggio storico, bello come un ricordo d’antan.

Saremmo già felici così: Paola ci ha portato dei piccoli assaggi di salumi e formaggi, la casa è calda, i racconti arricchiscono l’anima e parliamo un po’ di tutto: di tecniche enologiche, di vigna, di cambiamento climatico, di vini puliti e buoni. Si sta bene qui. C’è un’armonia che sa di piccolo miracolo: come un bucato steso in un campo deserto senza case; come la pace dopo la guerra; come una coppia che si fa una la mano dell’altro, uno la musica per l’altra: insieme uno spartito nuovo.

Saremmo già pronte a lasciare andare questa piccola parentesi di poesia, quando Ivano ci chiede di dare un giudizio sull’annata 2018 di Gino. Bottiglie che non lo convincono e che non ha mai messo in vendita perché sono uscite arancioni. Accettiamo pensando a un danno da ossidazione probabilmente irrimediabile. Ivano non ama questo vino: dice che non è venuto, che lo tiene lì e ogni tanto torna ad assaggiarlo per capire cosa diventerà e se ad un certo punto troverà la sua strada.

Lo versa.

Brilla come un’ambra e dopo pochissimo sprigiona una complessità di noce e mela gialla, di gardenia e di tarassaco. Cambia continuamente nel calice, ricordando i vini ossidativi, certo, ma con una personalità che ci ammalia. E poi la prova del nove è la bocca: gioca tutta la sua potenza sulla freschezza e sulla salinità. Lungo e pulitissimo, richiama di continuo alla beva. 

Ci ha conquistato al punto che abbiamo deciso di battezzarlo: per noi sarà sempre OssiGino 2018!

OssiGino 2018
OssiGino 2018

Lavigna, Santuvario, Lozio, Gino.

Tra l’esuberante croatina e l’elegante nebbiolo, tra la pungente vespolina e il ricco erbaluce, tra l’insospettabile dolcetto e la fiera barbera, ne suonano di note.

Un’opera in quattro atti (più uno) e una melodia che doveva per forza continuare.

Ivano riparava strumenti musicali, ma ora pizzica le corde dei fili tesi tra i tutori della vite, ed è “come musica”.

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Roberta Satta
Roberta Satta

Versavino. Sommelier AIS. Ha conseguito l'executive master in cultura e management del vino a Pollenzo, presso Unisg.

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Valeria-Redazione Vinity Fair-Chi Siamo
Valeria Mulas

Cantastorie di vino. Sommelier e degustatrice AIS. Assaggiatrice ONAF. Ha conseguito l'executive master in cultura e management del vino a Pollenzo, presso Unisg.

Comunicatrice empatica.

Appassionata di vino, cibo, arte e bellezza.

A tratti pittrice, scrittrice di troppe lettere.